L’incidenza dell’abusivismo edilizio nell’ambito delle procedure esecutive è, tutt’altro, che un fenomeno isolato, in quanto può accadere, e spesso accade, che il compendio pignorato presenti irregolarità edilizie, rispetto alle quali la vendita coattiva non ha effetto sanante.

Con il presente articolo si intende, quindi, inquadrare la disciplina degli abusi edilizi nelle procedure esecutive, evidenziandone gli aspetti più dirimenti tenuto conto che l’esecuzione immobiliare può avere ad oggetto un immobile abusivo.

Il quadro normativo

La normativa vigente in materia di edilizia pone un generale divieto di commercializzare immobili abusivi: tale regola si desume tanto dalla L. 47/1985, recante la prima disciplina del condono edilizio e applicabile solo agli immobili costruiti ante marzo 1985, quanto dal Testo Unico in materia di edilizia D.P.R. 380/2001, alla cui disciplina soggiacciono gli immobili costruiti successivamente all’entrata in vigore del citato decreto.

Alla luce della citata normativa è necessario che gli atti di trasferimento che abbiano ad oggetto beni immobili, realizzati successivamente al 1967 (ovvero dopo dell’entrata in vigore della Legge Ponte, che ha istituito l’obbligo generalizzato di licenza edilizia per tutte le nuove costruzioni), contengano espressamente le cd. menzione urbanistiche, ovvero gli estremi titolo edilizio (permesso di costruire, licenza edilizia, SCIA, vecchia DIA o permesso edilizio in sanatoria).

La sanzione civilistica che colpisce l’atto traslativo privo dell’indicazione del titolo edilizio è la nullità, di natura formale, del negozio giuridico, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ex art. 1421 c.c. senza limiti di prescrizione.

Qualora, poi, il permesso di costruire in sanatoria sia stato richiesto, ma non ancora rilasciato al momento dell’atto di trasferimento, è necessario indicare gli estremi della domanda di permesso in sanatoria, nonché gli estremi dell’avvenuto versamento della somma ricevuta a titolo di oblazione e di contributo concessorio.

Si tenga poi conto che, in caso di atto di trasferimento avente ad oggetto terreni, ai fini della validità del negozio traslativo, è necessario che all’atto negoziale sia allegato il certificato di destinazione urbanistica.

La particolare disciplina degli abusi edilizi nella vendita forzata

La regola generale recante il divieto di commercializzare immobili abusivi trova una deroga nell’ambito delle procedure esecutive immobiliari (così come nella procedura concorsuale), nell’ambito delle quali è possibile la vendita coattiva di un immobile che presenti irregolarità edilizie.

In tal senso, infatti, si esprime sia l’art. 40, comma 5, L. 47/1985 che recita “Le nullità di cui al secondo comma del presente articolo non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonchè a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa“, sia l’art. 46, comma 5, del TUE 380/2001, il quale dispone che “Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali”.

La ratio di tale deroga va ricondotto all’obiettivo principale delle procedure esecutive, ovvero favorire la commercializzazione dei cespiti pignorati.

Le tipologie di abusi edilizi: sanabili ed insanabili

E’ pacifico che la vendita coattiva di un immobile nell’ambito di una procedura esecutiva, per quanto ammessa, non abbia effetto sanante degli irregolarità edilizie.

In merito alle sorti dell’abuso a seguito del trasferimento immobiliare, il citato art. 46, 5° comma, TUE precisa che in caso di immobile abusivo oggetto di procedura esecutiva l‘aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria“.

Tale inciso di riferisce al caso degli abusi edilizi sanabili, in relazione ai quali si attiva una vera e propria rimessione in favore dell’aggiudicatario, il quale è tenuto a procedere alla sanatoria dell’irregolarità.

Diverso è, invece, il caso degli abusi edilizi non sanabili, i quali, pur potendo essere oggetto di trasferimento immobiliare nelle procedure esecutive in forza dei citati art. 40, comma 5, L. 47/1985 e art. 46, comma 5, del TUE 380/2001, sono di fatto destinati alla demolizione e ciò in quanto l’abuso non sanabile rimane tale anche in caso di trasferimento in sede esecutiva e si trasmette al successore a titolo particolare.

L’aggiudicatario sarà, quindi, tenuto al ripristino dell’abuso, fatto salvo l’esonero esonero dell’applicabilità allo stesso della sanzione amministrativa in quanto soggetto non responsabile dell’abuso.

Quindi, volendo riassumere, possiamo schematicamente distingue tra:

immobile con abuso sanabile: rimessione in termini per la sanatoria -> l’aggiudicatario ha 120 giorni dalla comunicazione del decreto di trasferimento per presentare la domanda di permesso di costruire in sanatoria.

Per pacifica interpretazione giurisprudenziale (ex multis, di recente, TAR Lazio, sez. II n. 7899/2020) del termine di 120 gg di cui al citato art. 46 comma 5 DPR 380/2001 – che testualmente recita “notifica del decreto emesso dall’autorità giudiziaria” – in mancanza di comunicazione formale del trasferimento stesso, il dies a quo inizia a decorrere nel momento di effettiva e piena conoscenza del decreto stesso (ad esempio dal rilascio da parte della Cancelleria di copia autentica del decreto di trasferimento all’incaricato da essa appositamente inviato), ovvero dal momento in cui l’aggiudicatario sia stato posto concretamente in grado di conoscere il decreto di trasferimento emesso in suo favore.

Riguardo alla tipologia di sanatoria va precisato che, allorquando si tratti immobili suscettibili di applicazione della L. 47/1985 (ovvero costruiti ante 17 marzo 1985), trova applicazione la sanatoria straordinaria ex legge sul condono edilizio in presenza della duplice condizione della riferibilità degli abusi edilizi a data antecedente il 31.3.2003, nonché di ragioni creditorie antecedenti a tale data (ipotesi pressoché rare).

Ben più frequente è il ricorso alla sanatoria cd. “ordinaria” di cui agli art. 36 e 37 del TUE D.P.R. 380/2001: tali disposizioni condizionano la sanabilità dell’abuso alla cd. “doppia conformità“, ossia alla condizione per cui gli abusi devono essere conformi agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti al momento della realizzazione degli interventi, nonché agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti al momento della presentazione della domanda di sanatoria.

immobile con abuso insanabile: l’ordine di demolizione – sia antecedente che successivo al decreto di trasferimento dell’immobile – grava anche sull’acquirente poiché l’ordinanza costituisce una sanzione a carattere reale che grava su colui che si trova in rapporto materiale con la res e ciò in ottemperanza all’art. 31 del TUE che espressamente dispone, al comma secondo, che il comune accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali (come determinate dall’art. 32) ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione.

Anche la giurisprudenza amministrativa, sul punto ha precisato che “la successione nella titolarità dell’immobile fa subentrare l’acquirente nella medesima situazione giuridica del proprio dante causa. Il proprietario dell’opera abusiva acquistata dall’autore dell’illecito non può perciò distinguere la propria posizione da quella del soggetto cui è succeduto, al fine di farne discendere un proprio affidamento tutelabile al mantenimento del manufatto” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 9.1.2017, n. 37) ed in senso analogo è il principio generale espresso da T.A.R Emilia Romagna, sez. II 7/2/2022 n. 127 “Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi che contrasta con quella prevista nella strumentazione urbanistico -edilizia, per cui risulta inciso anche il proprietario non responsabile dell’abuso e colui succeduto a qualunque titolo allo stesso”.

Non mancano tuttavia isolate pronunce che suggeriscono il contemperamento da parte dell’ente pubblico tra le esigenze pubblicistiche sottese al provvedimento di demolizione e l’affidamento del terzo in buona fede, non responsabile dell’abuso, dato che l’ordine di demolizione è comunque efficace anche nei confronti del terzo, aggiudicatario dell’immobile nell’ambito di una procedura esecutiva a carattere giudiziale.

In tal senso, giova richiamare la sentenza Consiglio di Stato, sez. IV, 4/3/2014 n. 1016a mente della quale L’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera; ma deve intendersi fatta salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.