La prima sezione civile della Suprema Corte con la sentenza 12962 del 22 giugno 2016 si è pronunciata sul tema di conflitto di interesse tra genitore biologico e minore adottando, respingendo il ricorso del Procuratore Generale e confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma con la quale era stata accolta la domanda di adozione di una minore proposta dalla partner della madre, sua convivente in modo stabile.
Il giudizio riguarda il caso di due donne che si erano sposate in Spagna e che nell’ambito di un progetto genitoriale e di vita insieme erano ricorse alla procreazione medicalmente assistita. La convivente della madre naturale della minore aveva fatto domanda di adozione al Tribunale dei minorenni di Roma ai sensi dell’art. 44 lett. d) della legge 183 del 1983.
Con la sentenza n. 299 del 30 luglio 2014 il Tribunale, acquisito l’assenso della madre naturale e con il parere sfavorevole del Pubblico Ministero minorile, aveva disposto l’adozione della minore ai sensi dell’art.44 lett. d) della legge 183 del 1983, non ravvisando limitazioni legislative all’adozione da parte di una persona singola e nell’orientamento sessuale.
Il Pubblico Ministero minorile ricorreva avverso la sentenza presso la Corte di Appello di Roma, sezione minorile. La Corte d’appello confermava la pronuncia del Tribunale.
Il Procuratore Generale ricorreva in Cassazione, con il primo motivo, sotto il profilo della violazione di norme di diritto ex art. 360 c.1 n. 3) c.p.c., per omessa nomina del curatore speciale a norma dell’art.78 c.p.c. L’art 78 c.p.c. al secondo comma stabilisce che si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi e’ conflitto d’interessi col rappresentante. Egli affermava che il conflitto di interessi della minore con il suo rappresentante legale, la madre biologica,  fosse in re ipsa poichè la sua nascita è stata frutto di un progetto portato avanti dalla coppia dal che è agevole ravvisare l’aspirazione di entrambe, e quindi anche della madre della minore a vivere la biogenitorialità nell’ambito del rapporto di coppia come consolidamento dello stesso e che tale conflitto è potenziale, dal momento che la madre agisce nel proprio interesse e ritiene che tale interesse coincida con quello della minore, sicché la decisione impugnata , anche se formalmente tesa a salvaguardare l’interesse della minore, appare sostanzialmente ispirata da una concezione adultocentrica e pertanto  sarebbe stato necessario scindere le due posizioni, quella di portatrice di un interesse morale all’adozione e quella di legale rappresentante dell’adottanda . 
Con il secondo motivo di ricorso il Procuratore criticava l’interpretazione dell’art.44 lett. d) legge 184 del 1983 data dalla Corte di appello sostenendo che la constatata impossibilità di affidamento preadottivo (quale condizione per l’adozione ex lett.d) presuppone la preesistenza di una situazione di abbandono e che quindi sia inapplicabile tale articolo alla fattispecie del caso in esame in quanto il minore viveva con la madre biologica e con la convivente di lei.
La Cassazione, con la sentenza in esame, ritiene infondato il primo motivo addotto dal Procuratore e ricostruisce la normativa sul conflitto di interessi  dell’incapace con il rappresentante legale richiamando l’art. 78 c.p.c. e gli articoli 3 e 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo tenutasi a New York nel 1989 e gli articoli 4 e 9 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo tenutasi a Strasburgo nel 1996. Le Convenzioni rispettivamente ricordano che  l’interesse superiore del fanciullo dev’essere una considerazione preminente e al fanciullo è data la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante e  che il fanciullo ha il diritto di chiedere […] la designazione di un rappresentante speciale delle procedure dinnanzi ad un’autorità giudiziaria e la stessa autorità giudiziaria può designare un rappresentante speciale per il fanciullo.
Secondo quanto stabilito in questa decisione della Prima Sezione Civile, la censura è da respingersi sotto il profilo della violazione di legge  poiché il conflitto di interessi denunciato non è in re ipsa ma va accertato in concreto  con riferimento alle singole situazioni dedotte in giudizio. 
Anche il secondo motivo dedotto dal ricorrente è dichiarato infondato dalla Corte Suprema. Difatti l’art. 44 c.1 della legge 183 del 1983 sancisce che i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui all’art. 7 c.1 il quale dispone l’adozione a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità. Ai sensi dell’art. 8 i minori dichiarati in stato di adottabilità sono i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. La Corte di Cassazione, nella sentenza presa in esame, seguendo l’orientamento della sent. 383 del 1999 della Corte Costituzionale afferma che l’adozione in casi particolari ai sensi della lett. d) art.44 può essere dichiarata a prescindere dalla sussistenza di una situazione di abbandono del minore adottando poiché si tratta di una clausola residuale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell’adozione legittimante, consentendo l’adozione dei minori anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art.7 .
A riguardo la Corte rileva che nel nostro ordinamento esistono due tipi di adozione, quella legittimante fondata sulla condizione di abbandono del minore e quella non legittimante che richiede caratteristiche differenti in ordine alla situazione del minore e al rapporto con l’adottante; nel caso di specie, rientrante nella lett. d) dell’art.44, non viene indicato nessun requisito per il profilo dell’adottante e dell’adottato ma è richiesta solo la condizione di constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo di diritto, nel caso concreto impossibile vista la presenza costante della madre biologica, e che l’adozione realizzi il preminente interesse del minore (art.57 n. 2 legge 183/1983). La Corte Suprema, infine, sottolinea come il legislatore con questa previsione si sia premurato di favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti e le persone che già si prendono cura di lui,  ricomprendendo, quindi, in questa ampia categoria anche i conviventi di fatto di uno dei genitori biologici.