Per comprendere pienamente il tenore della sentenza n. 41994/2021 delle Sezioni Unite in tema di fideiussioni bancarie nulle in quanto riproduttive dello schema ABI dichiarato illecito dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 2005 occorre, preliminarmente, inquadrare per sommi capi la figura contrattuale della fideiussione.

Il codice civile definisce il contratto di fideiussione dal punto di vista soggettivo, ovvero attraverso la figura del fideiussore che viene inquadrato dall’art. 1936 c.c. come il soggetto che si impegna a garantire l’adempimento di un debito altrui.

Si tratta, quindi, di un negozio al quale il debitore rimane estraneo in quanto il vincolo contrattuale riguarda il creditore ed il garante.

Tuttavia, il contratto di fideiussione è funzionalmente collegato al rapporto di debito originario in quanto esso si caratterizza per l’accessorietà rispetto al debito garantito, dalle cui sorti di validità la garanzia è fatta dipendere.

Scopo sostanziale del contratto di fideiussione è, da un lato, garantire al creditore maggiori possibilità di soddisfacimento del suo credito e, dall’altro, quello di offrire al debitore la possibilità che un soggetto terzo adempia l’obbligazione in origine esclusivamente a suo carico.

Per tali motivi, quindi, il contratto di fideiussione trova ampio margine di applicazione nelle vicende concernenti operazioni bancarie ove viene generalmente impiegato nella formula contrattuale dell’obbligazione a carico del solo proponente ex art. 1333 c.c., ove il fideiussore si vincola attraverso la sottoscrizione di una proposta unilaterale recettizia, la quale non necessita di accettazione espressa del creditore.

In particolare, nel settore bancario, il tipo contrattuale che, negli anni, è andato impiegandosi è quello della cd. fideiussione omnibus, figura negoziale, originariamente atipica, che, successivamente, è stata ricondotta allo schema negoziale tipico della fideiussione per obbligazioni future o condizionali di cui all’art. 1938 c.c..

Tale schema contrattuale si caratterizza per il fatto che il fideiussore si impegna a garantire tutti le obbligazioni, presenti e future, che il debitore ha assunto o assumerà nei confronti dell’istituto di credito in relazione a qualsiasi operazione bancaria.

Tuttavia, l’impiego generalizzato di tale schema contrattuale ha imposto esigenze di tutela del fideiussore rispetto all’indeterminatezza relativa dell’oggetto “in divenire” della fideiussione omnibus – e quindi all’estensione della garanzia con ciò rendendosi necessario l’intervento del Legislatore che, con la L. n. 154/1992, ha introdotto nell’art. 1938 c.c. il vincolo dell’importo massimo garantito.

Sentita l’esigenza di elaborare modelli contrattuali omogenei da impiegare in modo generalizzato, nel settore bancario, nei primi anni duemila, l’Associazione Bancaria Italiana, cui la maggior parte degli istituti di credito operativi in Italia aderiscono, ha elaborato le cd. norme bancarie uniformi (n.b.u.), ovvero condizioni generali di contratto che possono operare se espressamente recepite dagli istituti di credito ai sensi dell’art. 1341, 1° comma, c.c..

L’impiego nella prassi bancaria dello schema tipo di fideiussione omnibus elaborato dall’ABI ha, tuttavia, rivelato problematiche relativamente alla compatibilità di alcune clausole contrattuali rispetto alla normativa antitrust (L. 297/1990) e agli effetti dell’applicazione generalizzata di detto schema rispetto alla salvaguardia del rapporto concorrenziale tra privati.

Tali problematiche sono state evidenziate nell’istruttoria dalla Banca d’Italia – garante della libera concorrenza tra istituti creditizi ai sensi degli artt. 14 e 20 L.287/1990 prima della devoluzione della competenza in favore dell’istituzione dell’Autorità Garante dell’Economia e del Mercato – che è intervenuta, con il provvedimento n. 55 del 2.05.2005, nel senso di ritenere restrittive della concorrenza, e quindi illecite, talune clausole contenute nel modello tipo di fideiussione omnibus bancaria considerate anticoncorrenziali in quanto determinanti una standardizzazione squilibrata a danno della clientela.

In particolare, il citato provvedimento della Banca d’Italia ha ritenuti illegittime le seguenti clausole:

1) clausola di reviviscenza, volta a vincolare il garante alla restituzione di somme nonostante l’intervenuta revoca, annullamento e/o declaratoria di inefficacia dei pagamenti effettuati dal debitore in favore del creditore (istituto di credito) con ciò determinante la riattivazione della garanzia per sopravvenuta inefficacia dei pagamenti;

2) clausola di sopravvivenza della garanzia a carico del fideiussore rispetto all’obbligazione del debitore, ossia in caso di invalidità del rapporto originario;

3) deroga all’art. 1957 c.c. circa la previsione decadenziale del termine 6 mesi per l’esercizio da parte del creditore delle istanze contro il debitore volte a sollecitare dell’adempimento.

In particolare, quest’ultima deroga risulta gravosa per il garante in quanto lo vincola senza limiti di tempo nonostante la condotta negligente della banca nel proporre le proprie istanze e, quindi, nonostante il maturare della scadenza della garanzia fideiussoria.

Accertato l’illecito antitrust rappresentato dalla predisposizione di clausole contrarie all’art. 2, comma 2, lett. a) della L.287/1990, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della predetta legge, i rimedi esperibili risultano essere l’azione volta a far valere la nullità dell’intesa lesiva della concorrenza, nonché l’azione risarcitoria.

Dette azioni, per effetto della novella legislativa di cui al D.L. n.1/2012, devono essere proposte nanti la sezione specializzata in materia di imprese presso il Tribunale.

Come chiarito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 2207/2005, la legittimazione ad esperire l’azione di nullità, ovvero l’azione risarcitoria, spetta sia all’imprenditore, sia al consumatore, poiché la normativa anticoncorrenziale è la legge dei soggetti del mercato e quindi anche del consumatore che rappresenta l’acquirente finale del bene prodotto sul mercato.

Chiariti, quindi, i rimedi esperibili e la legittimazione ad attivare la tutela giurisdizionale, , dato l’impiego del modello ABI nella contrattualistica bancaria, l’interesse della giurisprudenza si è focalizzato sugli effetti del recepimento delle intese a monte illecite, poiché contrarie alla normativa antitrust, nei contratti di fideiussione omnibus a valle.

Dato che l’illiceità della clausole ABI anticoncorrenziali è stata accertata dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, è innanzitutto sorta la questione circa la sua presunta inapplicabilità ai contratti a valle predisposti sul modello ABI e conclusi prima della provvedimento 55/2005.

La giurisprudenza di legittimità è intervenuta sul punto chiarendo che l’accertamento della violazione della normativa antitrust e la conseguente nullità dei contratti a valle di intese illecite concluse a monte comprende anche i contratti sottoscritti anteriormente al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 poiché prevale l’interesse alla declaratoria di nullità di intese che siano lesive della concorrenza.

Ne consegue che, anche se concluso anteriormente al provvedimento della Banca d’Italia, il contratto che materialmente produce effetti distorsivi della concorrenza deve essere considerato nullo.

Ben più annoso è stato invero il problema relativo alla tipologia di nullità inficiante la validità dei contratti “a valle” predisposti sul modello ABI dichiarato illecito nel 2005 dalla Banca d’Italia .

Con la nota sentenza in epigrafe n. 41994/2021, le Sezioni Unite della Cassazione sono infatti intervenute sul tema delle sorti dei contratti “a valle” inficiati dalla pratica anticompetitiva vietata “a monte”, dirimendo il contrasto tra la tesi della nullità totale della fideiussione contente le clausole ABI dichiarate illecite e l’orientamento favorevole alla conservazione del contratto mediante declaratoria della nullità parziale delle sole clausole anticoncorrenziali con annessa tutela risarcitoria.

Secondo l’apprezzamento delle Sezioni Unite, le fideiussioni omnibus che “a valle” riproducono lo schema contrattuale elaborato dall’ABI e dichiarato anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a) della L. 287/1990 dalla Banca d’Italia (provv. 55/2005) , devono considerarsi parzialmente nulle ai sensi dell’art. 1419 c.c., ossia limitatamente alla clausole che riproducono le condizioni dell’intesa nulla “a monte”: ciò a meno che non si dimostri – e l’onere della prova risulta a carico principalmente del fideiussore – che senza l’inserimento di dette clausole illecite le parti avrebbero concluso il contratto.

A ben vedere, la soluzione adottata dalla Suprema Corte risulta più in linea sia con il principio generale della conservazione del contratto, sia con le finalità della normativa antitrust, che riconosce l’effetto demolitorio allorquando dall’applicazione uniforme di clausole anticoncorrenziali derivi un danno effettivo all’utenza pregiudizievole della libertà della concorrenza sancita dall’art. 41 Cost..

Pertanto, la nullità dell’intesa a monte determina la nullità derivata della fideiussione a valle limitatamente alle clausole che costituiscono pedissequa riproduzione della clausole ABI con la conseguenza che le restanti condizioni contrattuali rimangono valide.

La giurisprudenza riconosce la possibilità di estensione della nullità delle singole clausole all’intero contratto solo nell’ipotesi in cui venga dimostrato dal fideiussore l’interdipendenza funzionale tra le clausole, ovvero che in assenza delle clausole riproduttive dello schema ABI le parti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione.

Invero, nel caso della fideiussione, tale possibilità appare difficilmente riscontrabile: infatti, posta l’evidente gravosità per il fideiussore delle clausole conformi alle condizioni nulle dello schema ABI, appare difficile pensare che, in assenza di dette clausole, le parti non si sarebbero vincolate alla conclusione del contratto in quanto è evidente, da un lato, il permanere dell’interesse alla garanzia in capo all’istituto di credito alla fideiussione e, dall’altro, la continuità dell’interesse del fideiussore a prestare la garanzia, a maggior ragione una volta espunte le clausole a lui gravose.

In merito, la giurisprudenza ha per giunta precisato che qualora il fideiussore sia il familiare, ovvero il socio del debitore, vige a suo carico la presunzione che, a prescindere dalla presenza o meno nel contratto di fideiussione redatto secondo lo schema ABI delle clausole illecite, egli si sarebbe comunque vincolato concludendo il negozio a garanzia del debito altrui.

Vanno, infine, evidenziati alcuni aspetti pratici di carattere processuale, messi in luce della sentenza n. 41994/2021.

in primo luogo, le Sezioni Unite ribadiscono l’imprescrittibilità dell’azione di nullità e la qua qualificazione quale come nullità speciale in virtù della sua disciplina nella Legge 287/1990; inoltre, si precisa la possibilità di cumulare all’azione di nullità sia l’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033, sia la tutela risarcitoria.

Infine, la Suprema Corte ha chiarito che il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 costituisce una prova privilegiata a favore del fideiussore che non è tenuto a dimostrare in giudizio la condotta anticoncorrenziale della Banca, potendosi a tal fine basare sull’accertamento contenuto nel provvedimento della banca d’Italia: in virtù dell’inversione dell’onere della prova, spetta invece, all’istituto di credito dar prova dell’interruzione del nesso causale tra condotta lesiva dell’antitust e danno subito dal consumatore.