Con la sentenza n. 8230 del 22.3.2019 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno finalmente chiarito, si spera una volta per tutte, la valenza della sanzione di nullità prevista dagli art. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985 e 46 del Testo unico dell’edilizia DPR 389 del 2001 in materia di atti di trasferimento di diritti reali immobiliari e ciò in relazione alla rilevanza meno, ai fini ella nullità dell’atto, della conformità dell’immobile al titolo edilizio esistente. Il contrasto, come si legge nella motivazione, “attiene invero alla possibilità di ravvisare accanto alla nullità formale dovuta alla  mancata inclusione nell’atto della dichiarazione dell’alienante, che è unanimemente riconosciuta, anche l’esistenza di una nullità sostanziale dell’atto ad effetti reali per l’irregolarità urbanistica della costruzione, affermata dalla giurisprudenza più recente ed in precedenza negata”. In primo luogo la normativa prevede che nell’atto si dia conto della dichiarazione dell’alienante contenente gli elementi identificativi dei titoli  ( permesso di costruire o del permesso in sanatoria, ovvero gli estremi della SCIA e nel caso di sanatoria anche con il versamento delle prime due rate di oblazione oppure con la dichiarazione sostitutiva di atto notorio che l’inizio della costruzione risale ad epoca anteriore al 2 settembre 1967). Inoltre vi è dire che la nullità è comminata  per specifici atti ad effetti reali inter vivos per cui ne restano fuori solo quelli mortis causa e gli atti ad effetti obbligatori, ma ne sono anche espressamente esclusi i diritti reali di garanzia e le servitù ed inoltre gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali, ai quali le nullità non si applicano. Per lungo tempo si è dibattuto,  ed il contrasto tra le varie pronunce di legittimità ha determinato l’intervento delle Sezioni Unite, se dovesse avere rilievo solo una regolarità formale del titolo e quindi indipendentemente dall’effettiva conformità dell’immobile al titolo oppure dovete rilevare la  regolarità sostanziale del bene per cui non si poteva trasferire non solo un immobile privo di titolo edilizio idoneo, ma neppure quello difforme al titolo esistente.  La Suprema Corte è arrivata quini ad affermare, dopo lunga disquisizione sulla valenze delle due tesi, il seguente principio di diritto: ” La nullità comminata dall’art. 46 del DPR 380 del 2001 e dagli art. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione e deve qualificarsi come nullità testuale, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile propio a quell’immobile.” In buona sostanza il contratto è valido a prescindere dalla conformità o meno della costruzione realizzata al titolo menzionato. Ciò non significa che le difformità al titolo non siano rilevanti;  proprio in ragione dell’ indicazione del titolo l’acquirente potrà svolgere tutte le necessarie indagini sulla conformità o meno del bene e valutare la convenienza dell’affare.  Inoltre in caso di variazioni essenziali o in totale difformità dal titolo il contratto sarà sicuramente valido ma esposto alle azioni a tutela dell’acquirente in tema di inadempimento contrattuale o vizi della cosa venduta.