La cointestazione di conto corrente determina la presunzione di contitolarità al 50% delle somme giacenti e ciò a prescindere dalla possibilità per i contitolari di effettuare operazioni disgiunte o congiuntamente.

Ciò si desume tanto dall’art. 1854 c.c., il quale, con riferimento ai rapporti con i terzi, dispone “nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà delle medesime di compiere azioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto“, quanto dall’art. 1298, 2° comma, c.c. che, nel disciplinare i rapporti interni tra debitori o creditori solidali, precisa che “le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente“.

La legge pone, quindi, una presunzione di uguaglianza delle quote da cui discendono plurime conseguenze.

Dal punto di vista processuale, spetta a colui che intenda far valere la pertinenza esclusiva delle somme giacenti sul conto dimostrare che il conto corrente è alimentato dal suo apporto esclusivo.

Il primo effetto, quindi, della presunzione di comproprietà delle somme accreditate sul conto corrente cointestate è l’inversione dell’onere della prova su chi voglia far valere la la situazione giuridica opposta, ovvero la titolarità esclusiva delle somme giacenti.

Secondariamente, ci si domanda con quale mezzo di prova la presunzione di comproprietà possa essere superata.

Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che la presunzione di contitolarità in quote uguali può essere vinta anche tramite presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti ex art. 2729 c.c.; il che significa che non è necessario fornire una prova documentale in quanto qualsiasi mezzo di prova, come anche la testimonianza, può essere indizio della pertinenza esclusiva delle somme giacenti sul conto corrente ad uno solo dei contitolari.

Qualora sia superata la presunzione di contitolarità, il cointestatario che abbia fornito il proprio apporto esclusivo al conto corrente potrà disporre delle somme senza che il trasferimento di denaro si possa qualificare indebito e ciò in ragione dell’impossibilità per l’altro cointestatario di avanzare diritti sulla giacenza.

Di contro, qualora il conto corrente risulti alimentato, seppur in misura minore, anche da apporti dell’altro contitolare, il consenso – espresso o tacito – di quest’ultimo sarà necessario per autorizzare i trasferimenti in misura eccedente l’apporto esclusivo di spettanza dell’altro coniuge.

Ciò è stato chiarito anche di recente dal Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 4838/2021, ha così statuito: La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi,ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa. Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo.