In un caso di recente occorso presso il Tribunale di Genova una persona firmava, negligentemente, una dichiarazione ai fini ISEE infedele e di molto inferiore ai redditi realmente percepiti; accortosi dell’errore il soggetto provvedeva poi a saldare all’Università di Genova la cifra dovuta, maggiorata degli interessi legali. Nella sua requisitoria il PM riteneva applicabile l’articolo 483 C.P. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), chiedendo di conseguenza una pena di 6 mesi per l’imputato.

La difesa invece cercava di spostare l’imputazione sul diverso articolo 316-ter, che per la condotta di chi, “mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee”, commina una sanzione in astratto più grave di quella prevista dall’articolo 483 C.P. Tuttavia il secondo comma dello stesso articolo si limita a condannare ad una sanzione amministrativa coloro i quali percepiscano benefici per somme inferiori ai 3999,96 € (come peraltro nel caso di specie).

La tesi sostenuta si basava sulla Sentenza SS. UU. n. 7537 del 25.2.2010, in cui la Suprema Corte afferma: “Il reato di cui all’articolo 316-ter c.p. assorbe quello di falso, previsto dall’articolo 483 c.p., in tutti i casi in cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscono elementi essenziali per la sua configurazione”. Infatti nella fattispecie dell’articolo 316-ter sarebbero contenuti tutti gli elementi costitutivi del falso ideologico, con conseguente assorbimento della fattispecie più “semplice” (l’articolo 483 c.p.) in quella più complessa. Tale assorbimento secondo la corte poi permane anche nel caso del 316-ter comma II, quando vi è solamente una violazione amministrativa.

Il Giudice, nella sua sentenza (Sentenza Tribunale di Genova n. 4043, del 16/07/2014), ricordava innanzitutto che: “nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione  da parte di enti pubblici”, contenuto all’articolo 316-ter,  “rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di denaro, ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma ad essi dovuta”. Più oltre l’organo giudicante si conformava a quanto sostenuto dalla difesa, ne sposava appieno la tesi e dichiarava la non previsione del fatto commesso dall’imputato come reato, assolvendolo da ogni capo d’accusa.